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sabato 18 febbraio 2017

LE VERE RESPONSABILITA’ DEL DEGRADO DI SAN SALVI


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LE VERE RESPONSABILITA' DEL DEGRADO DI SAN SALVI

Circa 30 anni fa, al momento della sua definitiva dismissione, il complesso di San Salvi si presentava ancora intatto: l'insieme dei suoi padiglioni disposti in quella sapiente conformazione ellittica era in ottimo stato di conservazione, così come gli edifici esterni all'ellisse, tra i quali la pregiata Villa Maria.
Il parco storico con il suo viale bordato di lunghi filari di lecci e di tigli secolari, con i giardini e il reticolo dei percorsi interclusi fra gli edifici, punteggiati di macchie di varia specie botanica, e svettanti in alto su tutto i superbi cedri del libano, appariva anch'esso perfettamente integro e accuratamente accudito in tutte le sue parti.
Un grande  e rigoglioso polmone verde, incorporato nella città, ad avvolgere e delimitare quello che all'esterno sembrava piuttosto che un ex ospedale psichiatrico un meraviglioso quartiere giardino.
La visione di San Salvi, invece, che si presenta al visitatore di oggi è radicalmente mutata: una parte dei padiglioni risulta in pessimo stato conservativo e bisognosa di un radicale restauro, intere facciate di essi dagli intonaci scrostati, la pregiata Villa Maria ridotta ad un rudere pericolante, un parco malato fortemente impoverito nel suo patrimonio arboreo, complici inquinamento e cambiamenti climatici ma anche una cattiva manutenzione, usato in alcuni punti addirittura come discarica.                      
L'impressione dominante è di avere gravemente compromesso, causa decenni d'incuria e di  mancato intervento da parte dell'amministrazione pubblica, un bene comune d'inestimabile valore per la città; di aver dissipato,  un'occasione unica, di restituire fin dagli anni '80,  alla collettività cittadina,  un patrimonio storico-architettonico ricco di potenzialità sociali e culturali assieme ad un grande parco, la cui fruibilità  avrebbe migliorato sensibilmente la qualità e la vivibilità  urbana  del quartiere  e non solo.
È dunque totalmente fuorviante leggere articoli di stampa che additano il degrado di San Salvi alle occupazioni abusive di anarchici o immigrati, fenomeno, peraltro tipico in tutte le città dove a fronte della mancanza di abitazione e di spazi aggregativi, si danno strutture pubbliche svuotate e inutilizzate, rimuovendo le vere cause di tale degrado. Esse sono riconducibili in toto ai responsabili delle istituzioni pubbliche (Regione, Asl, Comune) la cui visione di San Salvi è ristretta ad una logica puramente immobiliare che prevedeva la vendita di una sua parte significativa, quella che per decenni è rimasta in abbandono in attesa della privatizzazione e che oggi risente del massimo degrado.
Dunque l'insipienza politica, la sconfortante assenza di programmazione urbanistica sono all'origine dell'attuale condizione critica dell'area, specchio emblematico di un destino sovente riservato alla città pubblica e al suo patrimonio. Sono gli stessi poteri pubblici, che hanno sistematicamente ignorato le proteste contro la privatizzazione che provenivano dal basso, le idee di trasformazione e di riuso formulate dai cittadini e dai comitati che da anni si occupano, inascoltati, di San Salvi. E che ancora non è dato sapere se il Progetto Partecipato, finanziato dalla stessa Regione e conclusosi nel 2016, verrà seriamente valutato e accolto dall'amministrazione pubblica.
Il Progetto urbanistico esecutivo approvato dal consiglio comunale del 2007, che prevede l'alienazione di una parte significativa dell'ex-manicomio, sta per scadere; con il risultato che l'azienda sanitaria sembra oramai scartare l'opzione della vendita (anche se non ne possiamo essere del tutto sicuri) e orientarsi verso un riuso dei padiglioni principalmente a fini amministrativi. Una decisione unilaterale che esclude il coinvolgimento della cittadinanza, e che contrasta con le esigenze espresse, di un utilizzo diversificato del complesso, di un alleggerimento del carico urbanistico sull'area che renda possibile un reale godimento di un parco che attende di essere ricostruito come la storia ce lo aveva consegnato.

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